Armando Nardone, chirurgo, il vero figlio de Il Commissario Nardone, l’uomo che rivoluzionò i metodi investigativi della polizia inventando la squadra mobile, ha parlato di suo padre, a cui è stata dedicata una fiction, in un’intervista rilasciata a Grand Hotel.
Queste sono le dichiarazioni principali di Armando Nardone:
Fin da quando eravamo piccoli, io e mio fratello, papà ci ha sempre raccomandato di fare un altro mestiere ed entrambi abbiamo seguito il suo consiglio. Lui amava il suo lavoro più di ogni altra cosa, ma noi, da bambini, ne abbiamo fatto le spese, perché a casa non c’era mai.
Armando Nardone evidenzia alcune differenze tra suo padre e il commissario descritto nella fiction:
Non era certo bello come Sergio Assisi e non è vero che fosse un buongustaio: mangiava solo pasta al pomodoro e merluzzetti a causa di un’ulcera duodenale. Beveva un dito di whisky a fine pasto per digerire, mille caffè al giorno e fumava continuamente: non ricordo di averlo mai visto senza la sigaretta in mano. Si dedicava anima e corpo al suo lavoro, anche la domenica mattina, insieme alla sua fidata squadra. Aveva molti informatori, tutti dei “poco di buono” ma preziosi per le sue indagini.
Il chirurgo racconta anche un curioso aneddoto:
Papà non ha mai alzato un dito su di noi ma le sue sfuriate erano memorabili. Ne ricordo una: ero alle elementari e lui mi aveva chiesto di passare da una fiorista che avrebbe dovuto dargli il numero telefonico del bandito Luciano Lutring. Io segnai il numero sul mio quaderno poi me ne dimenticai. Ebbene, papà fece irruzione in classe con tutti i suoi uomini, nel bel mezzo di una lezione e, urlando, strappò la pagina sulla quale avevo scritto il numero, di fronte agli occhi allibiti della maestra e dei miei compagni.
Mario Nardone morì a 71 anni a causa di un tumore al polmone, diagnosticato proprio da suo figlio Armando.
Photo Credits | Grand Hotel