La fiction dedicata a Paolo Borsellino, I 57 giorni, mandata in onda da Raiuno martedì sera per commemorare la tragica morte del magistrato siciliano ucciso dalla mafia, è stata accolta in maniera assolutamente diversa da due autorevoli critici della tv: Aldo Grasso e Alessandra Comazzi. Quest’ultima su La Stampa ha esultato:
Se i numeri hanno un senso, allora l’Italia che guarda la televisione non è soltanto quella dei reality show, delle gare canore, della politica che si insulta e ci insulta e di certi programmi di intrattenimento che la stessa Raiuno dovrebbe smettere di fare, tanto non fanno nemmeno ascolto.
Tutto perfetto per la Comazzi:
Appropriate le musiche di Ennio Morricone. Ricostruzione fedele e nello stesso tempo narrativamente efficace. La realtà non ha bisogno di essere falsificata, eppure quanto spesso accade, quante libere ispirazioni. Non questa volta. Tanto che anche protagonisti veri, come il giudice Ingroia, o i figli di Borsellino, o la vedova, non hanno rilevato discrepanze. L’efficacia della sceneggiatura è stato poi sostenuto dall’interpretazione. Prima di tutto di Luca Zingaretti, che ormai ha la Sicilia nelle sue migliori corde recitative; ma poi da tutti gli attori, in tutte le parti, dal pescatore al giudice. Nessuno fuori posto, nessuno che non sapesse dire le battute, far sentire la voce, senza farla scivolare via.
Molto più critico il giudizio di Aldo Grasso dalle pagine de Il Corriere della Sera:
Qui si parla di fiction, cioè di rappresentazione della realtà. La gravità del contenuto non può far passare in secondo piano questo metodo di affidare al calendario la discorsivizzazione della storia: basta sfogliarlo e creare infinite possibilità di eventi e di anniversari. Ma così è inevitabile che prevalga la maniera, l’attitudine agiografica.
Secondo lo storico della tv, insomma, Borsellino, è stato rappresentanto come un santino:
In questo modo, la storia di un vero eroe civile diventa un «santino», uno dei tanti che Rai Fiction ha creato in questi anni. Francesco Scardamaglia, sceneggiatore, e Alberto Negrin, regista, sono molto versati a eseguire questo compito: a loro basta un attore (in questo caso il pur bravissimo Luca Zingaretti), qualche battuta a effetto, una regia priva di una qualsivoglia invenzione linguistica e pazienza se Borsellino finisce per assomigliare un po’ troppo a Montalbano.