Ieri sera è andata in onda la prima puntata della nuova fiction di Canale 5 Il clan dei camorristi, che racconta la lotta tra Stato e camorra con protagonisti Stefano Accorsi e Giuseppe Zeno; come per tutte le serie tv che parlano di mafia o di mafiosi, le polemiche non sono mancate: il rischio è di esaltare i criminali e non di condannarli, dicono gli scettici.
A questo proposito il magistrato Raffaele Cantone noto per l’arresto del camorrista “Sandokan” spiega al giornale “Avvenire”:
Paolo Borsellino diceva “parlate di magia, parlatene in tutti i modi, ma parlatene. Io sono d’accorso. E’ utile parare di questi argomenti, è un contributo alla conoscenza, ma la fiction è sempre semplificazione, mentre il fenomeno mafioso è molto più complesso. E poi il rischio dell’esaltazione del personaggio negativo certamente c’è.
Sempre il magistrato Cantone racconta di aver incontrato Stefano Accorsi, che nella fiction interpreta proprio il ruolo di un magistrato, che gli ha chiesto dei consigli per rappresentare al meglio il personaggio. Il magistrato ribadisce l’importanza della non esaltazione dei criminali:
Certamente Il Capo dei capi fu negativa perché esaltava Toto Riina. Lo rappresentava come un contadino che alla fine, grazie alla violenza, riesce a interloquire con il potere politico ed economico. Un uomo di successo.
Ma secondo il magistrato Cantone il limite non è solo delle fiction che raccontano la malavita ma anche di quello sulle forze dell’ordine:
C’è troppa approssimazione, come in Squadra Antimafia, senza alcuna credibilità. Invece i magistrati non sono mai protagonisti, mentre nella realtà lo sono. Mancano anche le vittime delle mafie e i loro familiari.