Sono bastate due puntate per convincere critica e pubblico. “Non uccidere”, in onda su Rai 3, è una fiction che sta ottenendo un enorme successo e che pare essere davvero competitiva con le produzioni provenienti dagli altri Paesi d’Europa.
Un giovane ispettore (Miriam Leone) indaga sui casi più vari mentre la madre (Monica Guerritore), uscita dal carcere per aver ucciso suo padre, cerca di riallacciare i rapporti. C’è una trama verticale ed una orizzontale, come in tutti i polizieschi che si rispettino.
Ciò che consente al pubblico di restare incuriosito dalla fiction, tuttavia, non è tanto la scrittura del caso e le indagini a riguardo, ma la caratterizzazione dei personaggi, sia i protagonisti che i comprimari di puntata: l’intenzione è quella di scrivere storyline che non si concentrino esclusivamente su una direzione, quella del mistero da risolvere, ma che si dipanino lungo un piano di toni e tematiche connesse sempre al caso di cronaca ma da diverse angolazioni: il bambino che dice una bugia per farsi notare dalla ragazzina che gli piace, il padre della vittima che torna a lavorare, i parenti dei genitori della ragazza accusati di non aver detto tutto quello che sapevano.
Se per la fiction italiana, in cui non si rischia di seguire più di una linea narrativa, è quasi una novità, per la serialità internazionale, è la regola base. E “Non Uccidere”, nello specifico, vuole fare proprio il sapore di quei polizieschi inglesi che, nel rallentamento del ritmo e nell’introspezione dei personaggi hanno trovato il loro successo. Serie tv come The Fall o Broadchurch non stupiscono per velocità del racconto, ma per come i suoi personaggi vengono raccontati dentro e fuori le indagini.